atlante di vertigini

Libro d’artista su libro d’epoca, copia unica.

Prefazione per un libro che è esso stesso soltanto una prefazione.


So esattamente di cosa è fatto questo atlante. Non sono altro che i ritagli collezionati, osservati e
incasellati nel flusso creativo durante la stesura di un libro: Vertigo. Sono le prime fluorescenze di idee,
laddove la traiettoria non aveva ancora la forza di una direzione precisa. Poi, come sovente accade, il
libro si è smarcato dal suo temuto destino di caotico magma e loro sono rimasti indietro, infilati nelle
pagine di un raccoglitore.
A lavoro ultimato però mi sono chiesta perché desiderassi tenerli e il quesito ha sorvolato per un po’
sul ridicolo senso di affezione (fortunatamente rigettato nell’ombra da una creatura virginale e bianca
di pulizia formale che alberga nel luogo più spartano della mia mente).
Nel capitolo Confessioni bibliografiche contenuto in La follia che viene dalle Ninfe di Roberto Calasso,
l’autore si sofferma sulla curiosa bibliografia del saggio Massa e Potere di E. Canetti, una bibliografia
non propriamente funzionale, ma qualcosa di diverso per il quale l’autore si pone la domanda: “E
allora che cos’è quella lista? Una serie di segnali, che rimandano a esperienze di un lettore. È come se,
alla fine della sua opera più grandiosa, Canetti avesse voluto lasciarci una sorte di codice
autobiografico di quella lunghissima, esaltante, angosciosa esperienza […]”.
Un codice autobiografico dell’esperienza è un’idea affascinante, forse priva di mera utilità perlomeno
stilistica, ma ha in sé qualcosa del taccuino di viaggio, la bellezza ingarbugliata del passaggio di segnali
che hanno spostato una mente fino allo svolgimento finale di un lavoro.
E parlando di tragitto mi sono ritrovata a pensare a un altro libro Flora of Rome citato da Fredrik
Sjöberg nel suo L’arte di collezionare le mosche, un libro che altro non è che la catalogazione di una
rovina, non un rigoroso e ufficiale trattato botanico, bensì una sorta di inventario filosofeggiante
attorno alla flora del Colosseo e alla bellezza involontaria che può generare un albo che si sfoglia
sull’asse immaginifico della visione fantastica.
Atlante di vertigini perciò è nato senza alcun intento preciso se non quello di accompagnare il moto
ondivago della piacevole pratica dello sfogliare in leggerezza o di raggiungere in un’ipotetica biblioteca
altri fratellini visivi nel campo della bibliomanzia immaginale.